martedì 28 maggio 2013
giovedì 2 maggio 2013
Quella volta dell'Estathé – Storia senza morale con una premessa infinita
In
tutta la vita ho sempre avuto qualche chilo in più. Mi soffermerò
sul “qualche” perché per vent'anni mi sono dannata (e mi sto
dannando) l'anima in un corpicino che potrebbe essere esile e
addirittura carino, se non fosse per degli antiestetici e lievemente
significativi addensamenti di ciccia in svariate parti del corpo.
Addensamenti maturati ahimé in anni di pigrizia da bradypus
tridactylus e
da una discutibile alimentazione a base di merda, sushi e cocacola.
Ma mi andava bene, tutto sommato. Non rimpiango nessun troiaio
mangiato.
Se
non ché un piccolo punto di svolta nel mio lato fisico c'è stato.
Verso metà ottobre sono probabilmente arrivata al punto di
accumulare così tanto cibo da sugherarmi il culo come gli orsi che
vanno in letargo, così il mio stomaco e soprattutto il mio appetito
si sono spenti. Ho passato mesi percependo appena lo stimolo della
fame o la voglia di mangiare, capitavano addirittura giorni che con
una minestra di verdura a pranzo me la cavavo agilmente fino al
giorno dopo, senza lamentele psicofisiche. In dei momenti ho
ipotizzato anche di star sviluppando capacità sovrannaturali.
MA
TRALASCIANDO i (giusti) deliri di onnipotenza, prima di andare avanti
comunque assicuro che sì, è stato un dimagrimento veloce, però
senza riscontri a livello di salute (o causato da questi ultimi, e
comunque “sticazzi”, giustamente, direte voi), per cui non ci
sono spiegazioni possibili a cosa è successo qualche mese fa. E'
successo solo una volta, e ne parlerò solo una volta.
Ero
da un'amico, una sera sul tardi, e lui stava facendo le paste col
sugo alla salsiccia, o comunque qualcosa di impossibile da mangiare
alle due di notte (per poi avere ancora fame, il cucciolo); declino
l'offerta di prendere parte al banchetto, lui insiste ancora un po'
poi ripiega sul porgermi un estathé.
Ricordo
distintamente che era fresco e nello stomaco completamente vuoto fece
un effetto abbastanza piacevole. Poi la bocca era illibata da sapori
diversi dalla neutrale saliva, così anche il dolce sapore chimico di
thé (che poi per me l'estathé ha sempre saputo di uva) era
abbastanza netto.
Il
mio amico continuava a cucinare spensierato, io finii di bere e
rimasi in piedi appoggiata ad una colonna in accanto al microonde. Di
colpo sentii avvicinarsi prima in bocca, poi lungo tutto l'esofago un
vago sentore poco rassicurante.
Senza
nemmeno il tempo di analizzare tale sensazione mi ritrovai a
dirigermi a grandi passi verso il bagno, mi siedo sul cesso per un
secondo per familiarizzare coi sudori freddi e la saliva un po'
salata (nefandissimo presagio), poi realizzo che sta per arrivare
l'inaspettato, mi volto di scatto e faccio come Eminem nel video di
Just Lose It, quando inonda di vomito se stesso vestito da Michael
Jackson, ecco, la dinamica è stata piuttosto simile; la differenza
stava nella consistenza, infatti il risultato, nel water, non era per
niente diverso da una normalissima pisciata.
*(sulle note di "Ciao Mamma" del simpaticissimo Jovanotti)
Ci
sono rimasta come un'idiota. Che cazzo era appena successo? Ho
guardato la mia opera per un po', con un misto di sdegno e
perplessità, pensando che se fossi stata abbastanza hardcore avrei
potuto rimediare una cannuccia e ribermelo tutto, che cazzo, sarà
possibile rivomitare un estathé senza nessun motivo? No, quindi
avrei avuto tutto il diritto di assimilarlo di nuovo. Alla fine
sarebbe stato solo un po' annacquato e con un tasso batterico da
Gange in piena, c h e s a r à m a i !
Misi
da parte l'orgoglio e tornai turbata in cucina, anche perché sfogata
quell'improvvisa nausea mi sentivo esattamente tranquilla come prima,
né provata né dolorante come di normale, dopo uno sforzo tale; no,
io stavo bene e il motivo di quella rimessa non era certamente da
imputare a me o al mio sistema digerente. Penso sia stata più una
volontà dell'estathé a causarne l'espulsione, come se avesse avuto
un cervello pensante che, accortosi del pericolo della digestione,
nel mio stomaco proprio non ci voleva rimanere.
In
cucina raccontai l'avvenimento al mio amico, e lui, infatti, non
notando in me disagi visibili come capillari rotti, faccia bianca o
almeno una postura più ingobbita, mi sa che decise di credermi più
per atto di fede che per reale convinzione.
“Ma
ti senti male?”
“No.”
“E
prima ti sentivi male?”
“No.”
“Boh..
Hai centrato il cesso almeno?”
Continuano
tutti a guardarmi con un velo di scetticismo quando ne parlo.
Sembra
un po', in effetti, una di quelle storie al limite tra la leggenda e
il mito che ti racconta l'amico cazzaro dopo la seconda Tennent's,
però assicuro a tutti gli eventuali lettori che è la verità.
E'
stupida, inutile e probabilmente non c'era manco bisogno di scriverci
sopra due pagine Word.
Ma
vi assicuro, che semmai vi troverete da questa parte, e vedrete negli
occhi del thé al limone dentro la tazza del cesso lo sdegno per voi e per le vostre interiora, ecco, forse allora capirete.
Lo
so che il thé non ha gli occhi, a differenza delle colline.
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